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d’andare in casa del conte Zatti-Cantelli perchè la contessina s’era sparato un colpo di rivoltella. La donna rossa ansimante mi raccomandava con voce soffocata di non dire nulla a nessuno, che forse la contessina poteva ancóra essere salvata. Ma avvicinandoci a casa incontravamo altri messaggeri, chi in cerca di me, chi in cerca d’un prete, chi in cerca d’ossigeno. La contessina s’era sparata al cuore; ma come avviene quasi sempre alle donne quando scelgono questo mezzo classico di suicidio, l’arma se l’era puntata troppo in basso per l’ingombro della mammella. Dico ingombro, ma potrebbe questa essere anche un’estrema forma di civetteria per offendere sì la propria vita, ma salvare la propria bellezza che ancóra medici e necrofori devono, dopo la morte, vedere, giudicare, chi sa, descrivere agli altri, magari fotografare: dato che nessuno è più vanesio dei suicidi. Il fatto si è che la pallottola di minimo calibro, e aguzza, le aveva soltanto forato due volte la pelle, in una ferita di sfriso lungo la sesta costa. Disinfettai, fasciai, riconfortai (– Mi lasci morire dottore....), e interrogai i genitori. Elena era la fidanzata del Tocci; nessuno lo sapeva. I parenti di lui avevano rifiutato il loro consenso perchè sognavano pel loro figliolo qualcosa di meglio d’un titolo squattrinato; e, in fondo, nemmeno i parenti di lei dovevano essere arcicontenti, con quella corona, di dare la loro figliola al figlio del direttore d’una fabbrica di concimi, chimici quanto si vuole, ma concimi. Insomma, un romanzetto dei soliti che la guerra aveva