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seguente l’aveva trovata ai Giardini, l’aveva condotta in disparte e le aveva detto; – Pronto. Anche domani se vuole. – Quella non sapeva se mostrare più offesa o meraviglia. Ma Tocci le aveva preso un polso e stringendolo più e più forte le aveva detto con tanta sincerità: – Mi piacerebbe tanto, anche a me, – che Cencina si sentì mancare di dolcezza. Basta: in un giorno del giugno 1918 andando al Circolo a leggere il bollettino del Comando Supremo, mi dissero che Tocci era morto sul Piave, alle falde del Montello. In tutta la città si dimenticarono anche le buone notizie sul nemico ricacciato oltre il fiume, sulle linee ristabilite, sui prigionieri fatti, sulla costernazione, di Budapest e di Vienna, per non pensare che alla morte di quell’uomo nostro tanto bello ed amato. Corsi dalla famiglia che abita poco lontano dalla fabbrica, fuori di porta, verso la stazione. Già s’incollavano alle cantonate manifesti a gran lutto. Dalla famiglia trovai il sindaco, il prefetto, il colonnello del Deposito. Non avevano altro che il telegramma d’un collega del Tocci: “Tenente Tocci morto gloriosamente nella battaglia di Nervesa”. E l’aveva indirizzato proprio al sindaco, chi sa magari pensando a Cencina e illudendosi che Cencina dopo tre anni di guerra pensasse ancóra al suo amico bruno. Il padre partiva la sera stessa per lassù. Due giorni dopo, messa solenne in duomo, e fiori e bandiere e drappelli d’onore di fanti con l’elmetto, e appeso al catafalco in un serto di quercia un ritratto di lui in uniforme, a testa scoperta, che