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di giudice. Ma Pópoli non sa: Pópoli, per lo più, è sindaco; Pópoli è occupato dalla mattina alla sera e, quando gl’impiegati comunali scioperano, anche dalla sera alla mattina. Nè le dicerie sulla signora Cencina hanno mai nociuto alla carriera politica di lui. Le disgrazie conjugali sono state una tradizione degli uomini politici italiani più degni di pubblico monumento. E se, in genere, il nostro popolo con la sua indifferenza alle loro private traversie mostra il suo vecchio buon senso nel giudicare i suoi grandi, nel caso speciale bisogna confessare che la liberalità della signora Cencina ha piuttosto giovato alla nostra città. Ministri e generali, venuti qui tra due treni per inaugurare una statua o un ospedale, per assistere alle corse o alla rivista, candidati in giro elettorale, letterati in giro di conferenze, tutti appena arrivati chiedono di vedere la moglie del sindaco, al pranzo di gala la vogliono accanto a loro, la fissano, la fiutano cupidi e sorridenti, le versano da bere, le offrono i più profumati e carnosi fiori che adornano la mensa; e al brindisi, dopo il Re e dopo l’Italia, finiscono sempre a bere alla salute di lei. Ella siede a destra dell’ospite illustre, il marito a sinistra, e tutti noi convitati paganti, dai posti lontani, per più d’un’ora ammiriamo quel trio soddisfatti. Che ne sarebbe della nostra città rispetto ai potenti del capoluogo della provincia e della capitale del regno, se avessimo un sindaco scapolo, peggio un sindaco con una moglie brutta, vecchia, inelegante e scontrosa? Devo aggiungere che le più malediche lingue