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ostinata speranza di vedere suo fratello guarito. Da dieci giorni nessuna emottisi; appena qualche linea di febbre verso sera. Per la millesima volta quei due vedevano la fata della guarigione apparir loro sulla soglia, apparire loro fuor dallo specchio in cui il malato spiava la sua miseria e la sua illusione, apparir loro dal cielo di quelle due finestrelle dove la sorella aveva disposto una vera siepe d’erbe aromatiche, timo, maggiorana, camomilla, basilico, rosmarino, reseda, perchè l’aria giungesse alla bocca del condannato pura, credeva, e profumata. D’un tratto verso mezzodì la febbre era salita a 39 e capii súbito perchè. — Dottore, la rivoluzione! È vero che è scoppiata la rivoluzione? I grandi occhi gli scintillavano di speranza, rideva, convulso, tutti i denti bianchi fuor dalla barba nera, e mi lanciava gesti sconnessi a braccia spalancate, battendo le palme l’una contro l’altra e poi sui lenzuoli e poi sugli stecchi delle braccia, con una gioja infantile: — La rivoluzione! La rivoluzione! Io e la sorella cercavamo di quietarlo, una mano sulla fronte, l’altra al polso. Tutto il corpo fino ai piedi gli sussultava sotto le coperte, tutto il lettuccio di ferro era scosso da quella follia: — La rivoluzione! La rivoluzione! – E mi chiedeva notizie e non riusciva ad ascoltarle. Pareva che dovesse guarire con la rivoluzione; pareva che si trattasse della sua salvezza e della sua vendetta; pareva che solo ad immaginare, chi sa, rivi di sangue e mucchi di scannati e