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Volevo vedere se eri spettinato! – gli tornarono alla mente le parole ironiche di Giacinta per le scale della maestra. E subito trovò in quel ricordo proibito la giustificazione per la vendetta di Giacinta, per la propria fuga, – e anche per la propria rassegnazione. Egli se l’era meritato. E cercò di convincersene bene, profondamente, sicuramente. E quando fu ben convinto d’esserselo meritato, pensò soltanto a ripartire. Riescì dal giardino, non osò prendere il viale dei platani che vedeva a quell’ora pieno di gente, andò lungo le mura della città, e saltato un fosso trovò un viottolo per la stazione. Il prossimo treno per Roma non partiva che alle due della notte. Errò per la campagna, divertendosi a lacerare in minutissimi pezzi le dieci copie della Tribuna con che s’era imbottite le tasche alla stazione di Roma. Fu così mite da pensare che quella sera Giacinta avrebbe avuto gli acuti molto appannati. Non osò entrare sotto i lumi della stazione che all’ultimo momento, e si appartò nell’ombra conscio della sua meritatissima punizione. Anche, dal fondo della memoria tornava a folate quel monito sommesso dei camerieri dell’albergo: – Vada, vada via, che, se no, succede un massacro...