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— Alla prossima befana io ho intenzione di regalare un fonografo ai miei bambini. Ce n’è da sedici lire, ottimi.

— Il re ha ridato i tamburi all’esercito.

Intanto si faceva sera, cominciavano ad accendersi violacei i globi della luce elettrica. Sabatino tornò a casa. La solita cena gli parve pessima. Riescì, andò al concerto di piazza Colonna, non suonavano niente della Traviata, pensò con odio all’invasione della musica tedesca. Ormai lo spettacolo doveva essere incominciato. Le nove e mezza; le nove e tre quarti... Ormai Violetta e Alfredo dovevano essere rimasti soli. Non poteva immaginarsi il tenore che come quello veduto un anno prima al Quirino con la barba bionda, i baffetti impomatati all’insù e i due giri bianchi dei denti tutti esposti in un sorriso perpetuo come in una vetrina di dentista. Solo, su per le Muratte, Fontana di Trevi e la Piletta, ripeteva il recitativo dopo il duetto e vedeva i gesti di Giacinta, affascinante: «— Prendete questo fiore. — Perchè? — Per riportarlo. — Quando? — Quando sarà appassito — Allor domani — Ebbene domani. — Io son felice...»

Passò tutto il libretto. Tornò a casa mezz’ora dopo la mezzanotte dopo aver borbottato per la