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quello del primo e dell’ultimo atto venivano provati in casa della maestra, e Alfredo era un tenore zoppo che per quest’infermità non avendo potuto «calcare le scene» e cantava nella Cappella di San Giovanni in Laterano, invisibile dietro la grata d’oro del coretto ma sicuro del suo avvenire e con diritto alla pensione. Del resto, cantava anche negl’imbuti d’una fabbrica di cilindri per fonografo, e aveva una lira a cilindro. Veramente la voce di Giacinta si arrotondava: la maestra andava in visibilio, e più Giacinta progrediva, più la signora Armenia vantava l’infallibilità miracolosa dei suoi metodi. Al Gran Dio, morir sì giovane Io che ho penato tanto, che la scolara secondo i precetti cominciava con uno scoppio di voce subito smorzata in un sospiro d’agonia, la maestra si raccoglieva il petto nelle due mani come a contenere tutt’una marea di commozione, e spiegava: — Quando è venuta da me, le rispondevano i gatti nel cortile. Non aveva nemmeno la pronuncia. Le ho fatto la bocca, la gola, i polmoni io, tutto io.