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la ribelle. Ma con un braccio libero ella prese una fiala piena di viole e mi gettò in viso acqua e fiori. Mi vidi ridicolo, mi offesi, mi asciugai alla meglio la faccia e me ne andai mentre ella sorrideva quietamente. In anticamera Sofia (sarebbe la cameriera) mi venne incontro ridendo e mormorandomi sottovoce: «L’ha conciato bene, oggi, povero figliuolo. Lei fa sempre così; anche al capitano Marini l’anno scorso fece uno doccia simile con l’acqua e le violette. Povero figliolo!» Ma non si mostrava gelosa, e rideva aiutandomi a infilare il pastrano col solito gesto. A un punto mi asciugò col fazzoletto la cravatta che era bagnata e nelle pieghe aveva una viola ancora; poi mi baciò e mi disse tranquillamente: – Vengo posdomani mattina alle dieci, è vero? – Io risposi di sì e la baciai. Sulla soglia comparve la padrona e disparve.
— Patatrac – e tutti ridevano clamorosamente – E poi? E poi?
— Io escii allibito. Ormai ero certo di non mettere più piede a casa Gavini.
In quel momento un cameriere portò sopra un vassojo un biglietto di Grimani: «L’écarté è finito.»
— Finisci, finisci.