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metri dalla villetta nostra, abitavano nelle due stanze più pulite della casa colonica la signora che me l’aveva affittata, e suo figlio. Era questi un contadinotto male rimpannucciato, rosso e tondo e sbarbato, coi pantaloni stretti stretti e il panciotto enorme, e sul panciotto una catena d’argento poco più piccola di quelle degli ergastoli, la quale a ogni passo faceva uno strepito metallico simile a quello degli spiriti terribili nei Falsi monetarii. Quel ragazzo per ore e ore restava all’ombra della casa a fumar la pipa e a guardare il mare abbagliante sotto il meriggio e, quand’era seduto, teneva le mani riunite sul ventre quasi che la protezione del panciotto non bastasse ai tesori di adipe accumulati là dentro, boccone a boccone. Lalla lo aveva soprannominato la Foca, e Varano e io lo chiamavamo così; e un giorno Lalla rise per due ore perchè lo aveva udito giù dalla spiaggia chiamare a gran voce la mamma.

— Avete udito? — ci narrò — La foca ha detto «ma-ma», proprio come nelle baracche ambulanti.

Un pomeriggio, Varano e io vestiti di tela bianca prendevamo il caffè e fumavamo sotto la veranda; le tende a righe turchine erano distese giù dai pilastrini perchè la vista del mare incandescente