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Bianca era vestita di tela candida, con una veste stretta alle anche e larghissima in fondo, tutta tesa per l’amido: un giglio riverso. Sotto il corsetto, che appena toccava la vita, una cascata di tulle lilla, fresco come se allora fosse stato composto a falpalà. Il gran cappello bianco era tutto a merletti; i guanti di pelle di daino finivano l’abbigliamento perfetto. Anna, anche prima di salutare la nuova venuta, ne guardò l’abito; e anche prima di studiarne l’abito, si meravigliò come ella nei bagagli lo avesse potuto portare così fresco e immacolato. Le parve un miracolo. Anche Anna portava per sua sventura l’abitino di percalle bianco, e intorno alla vita aveva osato di cingere la cintura dell’abito color di rosa. Passata la prima ammirazione, il confronto subito la fece soffrire, le tolse la parola. Alberto già aveva detto: — Bianca, ti presento la nostra cortesissima padrona di casa. E Bianca s’era inchinata con garbo. Anna, tra l’ammirazione e l’invidia, sentì che anche l’altra restava incerta quasi timida, e mormorò: — Signora mia, la ringrazio per esser venuta fin qui. Avevo detto a suo marito... Bianca guardò Alberto. —