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a Spoleto per l’istromento dell’arciprete Picci, e Anna restò sul letto a meditare. La notte, aveva dormito male, aveva sognato il pittore e l’ignota che dormivano insieme nel prossimo villino, e non avrebbe osato di ripetere a nessuno quanti baci nel suo sogno quei due s’erano dati: ella poi conosceva i mobili e le mura di quella camera parte a parte. Era stata la sua camera súbito dopo le nozze; e mai ella poteva a distanza ripensarla senza rivedere lì dentro, presso il letto, Oreste in mutande, nella penombra della luna a traverso i vetri. Che ricordi! Da farsi il segno della croce, volta per volta! Poche volte... «Che farò? Verranno essi da me questa mattina stessa, dovrò io andare da loro per cortesia di padrona? Anche Oreste ha detto che, poichè c’è una signora, io posso riceverli e devo esser gentile. Che abito porterà stamane? Anche ella avrà un abito bianco? E uno turchino? E uno color di rosa? Come mi vestirò per incontrarla? Mi metterò gli orecchini? E il cappello? In campagna non lo porto mai. Ci vorrebbe un cappellino da uomo come il suo. Strano! Fino a ieri quei cappelli di paglia così tondi e semplici mi parevano orrendi per una donna.» E tremava al pensiero di incontrarli e di parlarci. Si alzò, e si sentì