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anche un baffo di cipria sotto l’orecchia. Essi, essi l’avevano notato di certo, passandole innanzi! E il dispetto le angosciò così la povera piccola anima che ella ne pianse silenziosamente, gettandosi sulla poltrona senza badare che si sedeva proprio sul panciotto d’Oreste e che spiegazzava tutta la sua veste nuova. E i piccoli singulti le uscivano dalla bocca dolorosa a volta a volta, chetamente, col respiro corto. Udì la voce d’Oreste dall’aja. — Anna, c’è Caterina. Ti vuole subito. Caterina era la serva che ella aveva trovato pel pittore. Scese giù di corsa, nella curiosità scordando l’affanno; perchè Oreste non vedesse i suoi occhi arrossati, chiamò Caterina dentro casa, su l’ultima branca delle scale. Caterina voleva un po’ di caffè freddo, subito, per la contessa che aveva sete. — Di’, Caterina: che fanno? Quant’è bella, lei! — Quant’è bella! – assentì la serva. — Sono marito e moglie? — E che vuole che sieno? Non fanno che baciarsi, accarezzarsi, chiamarsi con certi nomi che sembrano nomi di gatto. — Come si chiamano? — Lei chiama lui Bebè, e lui chiama lei Titì. —