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sportello, chè la luce cadeva proprio sul guanciale suo. Passando davanti allo specchio si guardò e le parole del marito: «Sarebbe capace di far la la corte anche a te.» Perchè «anche a lei?» Ella desiderava che il bell’ignoto le offrisse qualche atto galante, non per merito della solitudine che gli toglieva ogni altra donna, ma per meriti veri della bellezza sua. Ella era una sposina onesta, ma qualche complimento dolce, come a Spoleto le faceva qualche ufficiale della guarnigione, la avrebbe ben lusingata specialmente perchè le amiche lo avrebbero saputo. Si rammentava il forestiero: capelli scuri, barba biondastra, occhi cilestri senza occhiali! «Quanto sarebbe più bello Oreste senza occhiali!» E poi, un pittore! Ella non aveva mai visto dipingere: aveva solo visto un suo maestro, in monastero, disegnare a matita e a pastello; anzi a Spoleto aveva due disegni suoi, una rama di pesche e due garofani. Se avesse pensato a portarli giù in villa li avrebbe mostrati al forestiero perchè vedesse che dopo tutto le provinciali ne sanno quanto le romane e forse più. E corse all’armadio e lo schiuse per guardare i tre abiti di percalle, uno roseo, uno bianco, uno cilestro. Su quello bianco avrebbe una volta messo la cintura di quello color di rosa.