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il dominio della razza germanica sull’Europa e sul mondo per forza d’armi e di cultura era fatale, nell’Italia ormai libera e unita dove il franco parlare non sarebbe più costato nè la galera nè l’esilio ma tutt’al più l’esclusione da qualche umile cattedra universitaria, noi abbiamo veduto nelle scuole e nei laboratori, nelle banche e nelle officine, nei parlamenti e nell’esercito, la venerazione per la cultura e per gli ordinamenti dei vincitori di Sedan proclamati e accettati con un ossequio così timido ed unanime che parve la nostalgia della nostra antica schiavitù. Non solo sul presente e sull’avvenire d’Italia questi stranieri avevano messo col nostro pieno consenso il loro sigillo ma perfino sul nostro passato; la storia di Roma, la storia dei nostri Comuni, la storia del nostro Rinascimento, tutta opera di tedeschi, scritta con animo di tedeschi per la maggiore esaltazione della razza tedesca. E dopo avere in ogni attività sociale chiesto ai tedeschi d’insegnarci a pensare e ad operare, avevamo addirittura chiesto loro d’insegnarci a insegnare, così che fin dai ginnasi, anzi fin dagli asili, i bimbi e i ragazzi d’Italia fossero tutti fatti a immagine e a somiglianza del modello tedesco, con l’approvazione tedesca.

Fino il greco e il latino ci hanno fatto imparare sulle grammatiche dei signori Curtius, Müller o Schultz. Fino i classici latini, i padri della nostra intelligenza italiana, abbiamo a scuola dovuto leggerli sulle edizioni di Lipsia.

Quelli che tentarono di volgersi alla Francia come a una più fraterna maestra di civiltà, trovarono, e non se ne avvidero, anche la cultura e la civiltà francesi obbedienti ormai alla cultura e alla civiltà tedesche. In Francia era quello un modo ingenuo ma apparentemente logico per preparare una rivincita dopo le sconfitte e le umiliazioni del 1870: assimilarsi, cioè, della disciplina mentale, morale, sociale, militare della Germania o meglio della Prussia vittoriosa quanto era possibile per riuscire, chi sa, un giorno a vincerla e a punirla con le sue stesse armi. Ma noi che non eravamo stati vinti, noi che