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Il Rinascimento e la Chiesa Romana.



L’assalto di Lutero è povero di dialettica e anche di nobiltà. «Pecca, pecca fortemente ma credi più fortemente ancora». È un assalto selvaggio, brutale, furioso, tipicamente — e fu il suo merito — teutonico nel senso che la cronaca stessa di questi mesi di guerra dà a questo aggettivo. Pecca sodo: picchia sodo. Lutero odiò nel Papato non la corruzione soltanto ma la cultura, la raffinatezza, la bellezza, l’ordine politico, la libertà morale, la disciplina mentale ed artistica del nostro umanesimo, odiò in una parola l’Italia e il suo Rinascimento classico e latino in nome del medioevo barbarico e germanico. E proibì per sempre nella Germania protestante l’ingresso a quella gloriosa pacifica rivoluzione che aveva condotto l’Italia fuori del medioevo sotto la guida dell’antichità risorta, che aveva spinto l’Italia a ritrovarsi questa guida con uno studio indefesso e con un metodo esemplare anche rispetto allo studio e al metodo dei moderni eruditi tedeschi oggi tanto vantati, che ci aveva finalmente dato, al contatto di quell’antichità la commozione di chi fino allora povero solo ed ansioso si ritrova un padre e una casa e una ricchezza; meglio, di chi si ritrova un paradiso in terra popolato d’eroi, splendente di bellezza, ordinato con un’armonia che dopo tanti secoli ci parve dovesse essere eterna e quasi divina. E fu ed è un vanto del papato d’aver accolto e, direi quasi, benedetto quel Rinascimento classico e pagano, quella resurrezione delle cose morte come disse il Machiavelli, dando a quelle cose morte un prestigio di cose sante.