Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Vecchio, fu rifatta dopo un incendio del 1105 "sul modello del corpo di mezzo della chiesa di San Marco", come spiega il Sansovino, cioè a croce greca con una cupola sul quadrato d’incrocio. Il tetto di due navate s’incendiò e crollò e la cupola fu squarciata.
I danni a San Pietro in Castello furono minori. Non arse che la cupola. Parve anzi che la bomba incendiaria si fosse fermata sulla lanterna e da lì il fuoco fosse disceso per la cupola. Il quadro del Basaiti con San Pietro, e quello di Paolo Veronese coi santi Pietro e Paolo erano stati già portati al sicuro. Restavano le due grandi tele della fine del seicento, una di Gregorio Lazzarini che descrive la carità del Santo Lorenzo Giustiniano sepolto nella chiesa, e una di Antonio Bellucci che raffigura lo stesso santo orante per liberar Venezia dalla peste del 1630. Furono tutte bagnate dall’acqua lanciata sulla cupola e sui tetti per spegnere l’incendio; ma sono salve.
L’attentato non recò, per questo, minore angoscia al popolo veneziano la cui religione risplende tutta di ricordi della sua storia. Infatti la chiesa di San Pietro fu dal 1451, cioè dalla fondazione del Patriarcato di Venezia, fino al 1807, la chiesa dei patriarchi i quali lì accanto ebbero il loro palazzo. E una bomba cadde anche su questo palazzo abbattendone tutt’un’ala.
Quando dalla terraferma le popolazioni cristiane per il terrore di Attila si rifugiarono nelle isole della laguna, da Grado a Rialto e a Castello, che allora, per i suoi uliveti, si chiamava Olivolo, la leggenda narrò romanamente che nella stessa isola era sbarcato Antenore dopo la distruzione di Troia. La prima chiesa che quei fuggiaschi vi eressero, fu dedicata ai santi Sergio e Bacco e sottoposta ai patriarchi di Grado. Il vescovo "Castellano" riconobbe l’autorità di questi patriarchi che furono protetti dai dogi veneti contro i patriarchi tedeschi di Aquileia: memoranda difesa fra tutte quella del 1162 quando il doge Vital Michiel II andò con una flotta a liberar Grado dal patriarca aquileiese Voldarico di Treffen e il giovedì grasso lo trasse prigione a Venezia coi suoi dodici canonici e non lo liberò che quando egli ebbe firmato il patto di mandare, per preciso ricordo suo e dei suoi, ogni giovedì grasso alla Repubblica il tributo di un toro e di dodici porci da sgozzare in piazza e da distribuire ai poveri. Nel 1451 papa Nicolò quinto aboliva il patriarcato Gradese e riuniva in Lorenzo Giustiniani il titolo e la dignità di Vescovo Castellano e di Patriarca.
Dopo San Pietro di Castello, venne pei nemici la volta di San Marco davanti alla cui porta centrale cadde una bomba incendiaria il 4 settem-
21 |