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dovevano essere sollecitamente conclusi e pagati sul bilancio della Guerra, ma saggiamente lasciò agl’ingegneri veneziani che da anni vigilavano su quei monumenti, pieno diritto di suggerirgli piani, proporgli disegni, escogitare nuovi mezzi di difesa contro gl’incendii, le schegge delle bombe e la convulsione dell’aria per lo scoppio degli alti esplosivi. I monumenti son dei vecchi gloriosi ed è bene non mutare ai vecchi il medico curante proprio quando sovrasta il pericolo. Ingegneri della Regia Sovrintendenza ai monumenti, del Comune, delle Fabbricerie: l’ingegnere Luigi Marangoni per la basilica di San Marco, l’ingegnere Rupolo per il Palazzo Ducale, l’ingegnere Setti per la Loggetta, l’ingegnere Scolari per San Giorgio, pei Frari e per Santa Maria Formosa, l’ingegnere Forlati per San Giovanni e Paolo, per San Zaccaria, pei Miracoli, per San Giobbe, per il monumento al Colleoni: tutti collaborarono a quest’opera di difesa con tanto ardore che il 24 maggio, salvo qualche condottura d’acqua fin sulle soffitte del Palazzo Ducale e fin sulle cupole di San Marco, quasi niente se n’era fatto, e il 15 di luglio tutto quel che si poteva fare era finito.

Certo quel che si poteva fare non era molto, o almeno non assicurava contro tutti i pericoli. Ma le armi di difesa sono tutte così. Si sa che un parapetto di trincea, un casco di acciaio, una corazza, uno scudo non garantiscono il soldato da tutti i colpi; pure i soldati si difendono con trincee, con caschi, con corazze, con scudi.

Si aggiunga la debolezza del suolo di Venezia: la stessa Piazzetta è, in gran parte, un canale interrato. A innalzare pilastri per sostenere una copertura solo di reti di acciaio sopra uno dei cento monumenti di Venezia, si rischia di vedere il suolo sprofondare sulle vecchie palafitte, l’acqua gorgogliare intorno ai pilastri e le pietre angolari dello stesso monumento sconnettersi. Così s’è dovuto súbito rinunciare alla difesa delle chiese che avevano le loro altissime vôlte e le loro cupole coperte di affreschi o di mosaici. E poi a Venezia la fragilità è la regola, la compattezza e la solidità sono l’eccezione. Gli affreschi, ad esempio, del Tiepolo agli Scalzi erano dipinti con la teatrale improvvisazione cara al settecento sopra un leggero strato d’intonaco addossato a finte vôlte costruite con quelle leggere assicelle di legno dette in veneziano cantinelle: la bomba del 24 ottobre 1915 scoppiò fra il tetto di sole tegole e la vôlta sottilissima scagliando quelle in aria e polverizzando questa. Anche le cinque cupole di San Marco non si potevano dire molto più solide di quelle vôlte leggere, pur sotto le loro calotte

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