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mense capriate tenebrose della soffitta, là dove splendeva il trionfo di Venezia del Veronese; e sulle pareti e su quelle della vicina Sala dello Scrutinio si rividero le nude tavole su cui erano state tese le tele dipinte da Jacopo e da Domenico Tintoretto, da Palma il giovane, da Andrea Vicentino, da Federico Zuccari, da Francesco da Ponte, da Pietro Liberi con la descrizione delle vittorie di Venezia: la presa di Zara, la presa di Cattaro, la presa di Costantinopoli, la vittoria dei Veneziani sugli ungheresi, la vittoria di Lepanto nel 1571, la vittoria sui Turchi ai Dardanelli nel 1656. Malinconico spettacolo, certo. Pure, a vedere così spente e deserte quelle sale, i più animosi potevano confortarsi immaginando che quelle pitture fastose venissero calate giù perchè altre se ne apprestavano con la celebrazione delle imminenti vittorie contro gli stessi nemici: la riconquista di Monfalcone che di tutto il basso Friuli era stata la più fedele a Venezia, dal 1420 al 1797; la riconquista di Gradisca e di Gorizia dopo quattro secoli....

Ma all’improvviso, il paziente, discreto e prudente lavoro del Ricci e, nella biblioteca Marciana, del Coggiola, fu interrotto; tante proteste di sindaci e di deputati erano giunte alla presidenza del Consiglio. Il Consiglio della Confraternita di S. Rocco la cui sede si gloria d’essere tutta ornata, soffitti e pareti, di dipinti di Jacopo Tintoretto, l’11 aprile 1915, dopo un’apposita adunanza, dichiarava addirittura di "escludere, in via assoluta, la rimozione dei dipinti ed oggetti d’arte appartenenti alla Scuola".

Già, la guerra, come dice il popolo, se non si vede non si crede. Ma la resistenza dei veneziani veniva da molti altri motivi logici e sentimentali. Prima di tutto, quella convinzione della regale immunità di Venezia. Non è essa come un tempio, senza forza d’offesa o di difesa se non morale? Le sue fortificazioni sono a Mestre e al Lido, le sue navi da guerra sono sul mare aperto. I nemici potevano provarsi a conquistarla, ma perchè dovevano provarsi a distruggerla?

Poi c’era il sospetto, mal definito anzi indefinibile, contro i musei lontani che si aprivano per ospitare quelle bellezze in fuga. Nelle gallerie di tutto il mondo, anche a Napoli, a Roma, a Firenze, a Milano, la sala più bella, più celebrata, più fastosa non è, almeno pei veneziani, quella che raccoglie le loro pitture? Ritratti di dogi e di dogaresse, di procuratori e di avogadori, di patrizi e di cortigiane, feste sui bacini e sui canali, santi e sante in vesti color d’alloro, color di porpora e color d’oltremare, e voli d’angeli su cieli di madreperla come se ne incurvano solo sulla laguna: non


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