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Ma Venezia, no. Sulla facciata della chiesa degli Scalzi una lapide in pietra racconta: "Imperatore Caesare Francisco Jos. I Reparatum aere publico". L’imperatore Francesco Giuseppe aveva paternamente curato nel 1862, col denaro dei veneziani, il restauro della chiesa danneggiata dalle sue bombe nel 1849. Chi leggeva più quell’epigrafe? Forse qualche austriaco, sorridendo.

Nel 1915, del resto, non vigeva l’articolo 56 della Convenzione dell’Aja firmata da quarantaquattro Stati, anche dalla Germania e dall’Austria? "I beni dei Comuni e quelli degl’istituti consacrati al culto, alla carità e all’istruzione, alle arti e alle scienze, anche se appartenenti allo Stato, saranno trattati come la proprietà privata". Cioè, secondo l’articolo 46, rispettati.

Il Soprintendente dei Monumenti nel Veneto aveva mandato al Governo una sua proposta particolareggiata per mettere un ospedale in Palazzo Ducale. Una gran croce rossa sulla copertura di piombo del Palazzo; e tutto sarebbe stalo salvo. Dopo i primi bombardamenti vi fu chi pensò d’ordinare che si segnalassero, in obbedienza alla detta convenzione, con rettangoli divisi diagonalmente in due triangoli, uno bianco e uno nero, tutti gli edifìci che, senza essere ospedali, erano indicati da quell’articolo 56. L’utilissimo lavoro fu anche cominciato ma fu sospeso quando si accorsero che bisognava, solo per gli edifici sacri all’arte, coprire con quei rettangoli tre quarti di Venezia....

Corrado Ricci, direttore generale delle Antichità e Belle Arti, era stato più pratico. Nell’aprile 1915, appena la guerra parve inevitabile, egli andò nel Veneto e aiutato dal Soprintendente alle Gallerie del Veneto, Gino Fogolari, un italiano di Trento, cugino di Cesare Battisti, cominciò a spedire via i quadri e gli oggetti d’arte più preziosi di Treviso e di Padova, di Castelfranco e di Conegliano, a fare imballare e chiudere in solidi sotterranei quello che non si poteva allora far partire. Ma nelle isole di Venezia i palazzi poggiati sulle palafitte sono senza sotterranei. Così dalla Galleria dell’Accademia, dalle chiese, dalle confraternite, i Bellini e i Carpaccio, i Giorgione e i Tiziano, i Veronese e i Tintoretto, avvolti su cilindri immensi di legno o chiusi in grandi casse blindate, dovettero partire verso il mezzogiorno davanti alla sicura minaccia. A Palazzo Ducale, nella sala del Maggior Consiglio, dentro le immense cornici di legno e d’oro disegnate da Cristoforo Sorte riapparvero dopo tre secoli e mezzo le im-

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