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280 | giuseppe giacosa |
pera d’arte chiara, nitida, risplendente, piacevole.
Volete che vi parli del teatro? E del teatro verista? Proprio io? Oh a me è avvenuto un fatto strano. Un bel giorno faccio rappresentare un mio dramma Tristi amori; la mattina dopo sono un eroe, un innovatore, un ribelle. E io che non ne sapevo nulla!... Solo perchè dopo una scena di passione la mia eroina doveva fare i conti con la cuoca, il mio dramma era una rivoluzione. Io, vi giuro, che nulla di più poetico avevo trovato di quell'episodio, e che nessuna idea di brutalità verista mi aveva indotto a scriverlo. E ve lo ripeto, ora che in Italia e fuori il teatro propriamente verista tramonta, io non credo affatto che il teatro possa essere una pura e semplice rappresentazione della realtà. Altro che! Deve il dramma vivere di un’idea centrale che lo vivifichi tutto dalla cima alle radici, che lo sorregga come fa lo scheletro col corpo. Né l’idea deve essere (e qui temo sempre di essere frainteso) una