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arturo colautti 253

mamente viste con la musica del Costa, mi han mostrato l’avvenire. La folla, la folla invaderà il teatro e vorrà intendere e vorrà divertirsi; e la pantomima parlerà a tutti. L’arte della parola cadrà. Il teatro futuro sarà un immenso anfiteatro più grande degli antichi, e torneranno i cori e le maschere mostruose dalle bocche sonore e i calzari dagli alti tacchi perchè tutti scorgano l’azione e l’attore chiaramente; e la musica trionferà perchè tutti l’udiranno e la capiranno derivando da essa una commozione nervea, pronta e immediata. La pittura sarà scenografia. Ma questo è un sogno, un incubo, e lasciamolo. Io, pure, ho un dramma che sarà presto rappresentato, Piccola; ma è, si può dire, una scommessa. Io non credo al teatro, oggi.

Veniamo alla poesia. Qui è inutile discutere. Per me la migliore qualità della odierna poesia è e deve essere la musicalità, e Gabriele d’Annunzio è il massimo poeta nostro, e un qualunque dei nostri versificatori minori intende così bene questo