ranno dieci o dodici ottimi che dell’essudato di tutto quel popolo basso si serviranno a concimare il loro cervello potente e fecondo. Senza di essi il popolo non produce nulla spontaneamente. Guarda, guarda tutto folk-lore! Una decina d’anni fa ogni letteratucolo che per otto giorni lasciava di pestare gli olii di ricino destinati al conforto del pubblico e se ne andava in campagna, cominciava a chiamare la serva, l’ortolano, lo stallino e a farli cantare stornelli e a farli contar favole, e scriveva e scriveva e scriveva e mandava tutte le sue scritture a un professore De Gubernatis. Il fatto è che, dopo molti anni di lavoro così divertente e utile, confrontando tutti gli stornelli e tutti i racconti popolari e anonimi, si è visto che erano sempre gli stessi dieci o venti tipi riprodotti dai vari dialetti, e che anche di quei tipi pochissimi erano indigeni e i più venivano d’oriente. È inutile! L’arte è fatta dai pochi e non per i molti. Ma per me, ti assicuro, fare della letteratura in un