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114 | e. a. butti |
carla bastano i retori e i demagoghi, e son già di troppo. Ci sarebbe forse la gran figura del Bonaparte atta ad essere il perno d’un’epopea; ma noi siamo troppo vicini ai tempi suoi per poterla considerare nelle sue linee poetiche, e d’altra parte ora è in dominio della storia, che ci lavora intorno con troppa lena e la precisa con soverchia pazienza, togliendole ogni aureola di superumanità. Della poesia, resisterà ancora la forma lirica, in componimenti frammentari, d’indole soggettiva, scritti dagli artisti più per sè medesimi che per il pubblico.
— Ma per il romanzo che tu elevi a tanta altezza esiste la lingua adatta? Voi, milanesi, non date certo in generale bell’esempio di scrivere.
— Questo è ormai divenuto un luogo comune ed è falso in sostanza. Noi milanesi non scriviamo peggio dei romani, dei napoletani e dei siciliani; alcuni di noi scrivono anzi meglio di questi e di quelli. Il guajo si è che la lingua italiana adatta al romanzo