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100 | cesare cantù |
quelle piante Margherita Pasterla e i tristi amori? Ho colto un fiore, in memoria.
Uscendo son passato davanti alla vetriata che era presso alla sua scrivania e, dall’aperto, ho visto lui dietro i vetri allo scrittoio col capo chino sui fogli, la destra nell’apertura della giacca e la sinistra su la tavola, rigido e immobile come una starna, dentro la camera piena di libri morti e di mobilia disusata. M’è sembrato di vedere a traverso a quella teca di vetri la reliquia di un altro mondo, certo la reliquia di un’altra età tutta scomparsa.
Mentre la domestica mi accompagnava all’uscita, io la interrogavo:
— Ma egli è solo, sempre così solo?
— Sempre.
— Non ha parenti? Persone affezionate? E la domestica con un sorriso indefinibile ha soggiunto:
— Ghe n’a avuu, ma i’a minga sposaa!
E anche io ho sorriso e ho rammentato i fiori rossi ardenti nel giardino rinchiuso.