I più ratti gli accoppia, e più gagliardi.
Qui fine al dir pose la Dea, cui ride
Sotto le ciglia un azzurrino lume,470
E si levò, com’aquila, e svanio.
Stupì chiunque v’era, ed anco il veglio,
Visto il portento, s’ammirava; e, preso
Telemaco per man, nomollo, e disse:
Ben conosc’ora, che dappoco e imbelle,475
Figliuol mio, non sarai, quando compagni
Così per tempo ti si fanno i Numi.
Degli abitanti dell’Olimpie case
Chi altri esser porria, che la pugnace
Figlia di Giove, la Tritonia Palla,480
Che l’egregio tuo padre in fra gli Achivi
Favorì ognor? Propizia, o gran Regina,
Guardami, e a me co’ figli, e con la casta
Consorte gloria non vulgar concedi.
Giovenca io t’offrirò di larga fronte,485
Che vide un anno solo, e al giogo ancora
Non sottopose la cervice indoma.
Questa per te cadrà con le vestite
Di lucid’oro giovinette corna.
Tal supplicava; e l’udì Palla. Quindi490
Generi, e figli al suo reale ostello
Nestore precedea. Giunti, posaro