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libro terzo 65

Non, se agli stessi Dei ciò fosse in grado.
     Qual ti sentii volar fuori de’ denti,
Telemaco, parola? allor soggiunse295
La Dea che lumi cilestrini gira.
Facile a un Dio, sempre che il voglia, uom vivo
Ripatriar dai più remoti lidi.
Io per me del ritorno anzi torrei
Scorgere il dì dopo infiniti guai,300
Che rieder prima, e nel suo proprio albergo
Cader, come d’Egisto, e dell’infida
Moglie per frode il miserando Atríde.
La morte sola, comun legge amara,
Gli stessi Dei nè da un amato capo305
Distornarla potrian, quandunque sopra
Gli venga in sua stagion l’apportatrice
Di lunghi sonni disamabil Parca.
     E temo io ben, Telemaco rispose,
Che una morte crudel, non il ritorno,310
Prefissa gli abbia, o Mentore, il destino.
Ma di questo non più: benchè agli afflitti
Parlare a un tempo, e lagrimar sia gioja.
Io voglio d’altro dimandar Nestorre,
Che vede assai più là d’ogni mortale,315
E l’età terza, qual si dice, or regna,
Tal che mirare in lui sembrami un Nume.