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312 odissea

Che in forse io non rimanga un solo istante.
     E Ulisse: Pria la cicatrice mira420
Della ferita, che cinghial sannuto
M’aperse un dì sovra il Parnaso, quando
Ad Autolico io fui per quei, che in Itaca
M’avea doni promessi, accompagnando
Col moto della testa i detti suoi.425
Gli arbori in oltre io ti dirò, di cui
Nell’ameno verzier dono mi festi.
Fanciullo io ti seguia con ineguali
Passi per l’orto, e or questo arbore, or quello
Chiedeati; e tu, come andavam tra loro,430
Mi dicevi di lor l’indole, e il nome.
Tredici peri a me donasti, e dieci
Meli, e fichi quaranta, e promettesti
Ben cinquanta filari anco di viti,
Che di bella vendemmia eran già carche:435
Poichè vi fan d’ogni sorta uve, e l’Ore,
Del gran Giove ministre, i lor tesori
Versano in copia su i fecondi tralci.
     Quali dar gli potea segni più chiari?
Laerte, a cui si distemprava il core,440
E vacillavan le ginocchia, avvolse
Subito ambe le mani al collo intorno
Del figlio; e il figlio lui, ch’era di spirti