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libro vigesimoquarto 305

Giaccion negletti nel cortil d’Ulisse:
Poichè nulla ne san gli amici ancora,245
Che dalla tabe a tergerci, e dal sangue
Non tarderiano, e a piangerci deposti,
De’ morti onor, sovra un funébre letto.
     O fortunato, gridò allor l’Atride,
Di Laerte figliuol, con qual valore250
La donna tua riconquistasti! E quanto
Saggia, o memore ognor dell’uomo, a cui
Nel pudico suo fiore unita s’era,
Visse d’Icario la figliuola illustre!
La rimembranza della sua virtude255
Durerà sempre, e amabile ne’ canti
Ne sonerà per l’Universo il nome.
Non così la Tindaride, che, osando
Scellerata opra, con la man, che data
Vergine aveagli, il suo marito uccise.260
Costei fia tra le genti un odïoso
Canto perenne: chè di macchia tale
Le donne tutte col suo fallo impresse,
Che le più oneste ancor tinte n’andranno.
     Tal nell’oscure, dove alberga Pluto,265
Della terra caverne, ivan quell’alme
Di lor vicende ragionando insieme.
     Ulisse, e il figlio intanto, e i due pastori,