In sottile, ampia, immensa tela ordita
Da lei nel suo palagio; e, noi chiamati,170
Giovinetti, dicea, miei Proci, Ulisse
Sensa dubbio morì. Tanto a voi dunque
Piaccia indugiar le nozze mie, ch’io questo
Lúgubre ammanto per l’eroe Laerte,
Onde a mal non mi vada il vano stame,175
Pria fornir possa, che la negra il colga
D’eterno sonno apportatrice Parca.
Volete voi, che mordanmi le Achée,
Se ad uom, che tanto avea d’arredi vivo,
Fallisse un drappo, in cui giacersi estinto?180
Con sì fatte parole il core in petto
Ci tranquillò. Tessea di giorno intanto
L’insigne tela, e la stessea di notte,
Di mute faci al consapevol raggio.
Un triennio così nella sua frode185
Celavasi, e tenea gli Achivi a bada.
Ma sorgiunto il quart’anno, e le stagioni,
Uscendo i mesi, nuovamente apparse,
E compiuta de’ giorni ogni rivolta,
Noi, da un' ancella non ignara instrutti,190
Penelope trovammo al suo notturno
Retrogrado lavoro, e ripugnante
Pur di condurlo la sforzammo a riva.