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libro vigesimoprimo 233

Della fiamma il vibrava. Inutil cura!
Meglio, che gli altri, non per questo il tese.295
Gemè nel cor superbo, e queste voci
Tra i sospiri mandò: Lasso! un gran duolo
Di me stesso, e di voi sento ad un’ora.
Nè già sol piango le perdute nozze:
Chè nell’ondicerchiata Itaca, e altrove,300
Sul capo a molte Achée s’increspa il crine.
Piango, che, se di forze al grande Ulisse
Tanto cediam da non curvar quest’arco,
Si rideran di noi l’età future.
     No, l’Eupitide Antinoo a lui rispose,305
Ciò, Eurimaco, non fia: tu stesso il vedi.
Sacro ad Apollo è questo dì. Chi l’arco
Tender potrebbe? Deponiamlo, e tutti
Lasciamo star gli anelli, e non temiamo
Che alcun da dove son, rapirli ardisca.310
Su via, l’abil coppier vada co’ nappi
Ricolmi in giro, e, poichè avrem libato,
Mettiam l’arco da parte. Al dì novello
Melanzio a noi le più fiorenti capre
Guidi da tutti i branchi, onde, bruciati315
I pingui lombi al glorïoso arciero,
Si riprenda il cimento, e a fin s’adduca.
     Piacque il suo detto. I banditori tosto