Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/606


libro vigesimoprimo 225

Lui seguir non ricuso, abbandonata
Questa sì bella, e di ricchezza colma95
Magion de’ miei verd’anni, ond’anche in sogno
Dovermi spesso ricordare io penso.
     Disse; e, chiamato Euméo, recare ai Proci
L’arco gl’ingiunse, e degli anelli il ferro.
Ei lagrimando il prese, e nella sala100
Deposelo; e Filezio in altra parte,
Vista l’arma del Re, pianto versava.
Ma sgridavali Antinoo in tai parole:
Sciocchi villani, la cui mente inferma
Oltra il presente dì mai non si stende,105
Perchè tal piagnistéo? Perchè alla donna
L’alma nel petto commovete, quasi
Per se stessa non dolgasi abbastanza
Del perduto consorte? O qui sedete
Taciti a bere, o a singhiozzare uscite,110
E lasciate a noi l’arco, impresa molto,
Vaglia il ver, forte per noi tutti, e a gabbo
Da non pigliar: chè non havvi uom tra noi
Pari ad Ulisse per curvarlo. Il vidi
Negli anni miei più teneri, ed impressa115
Me ne sta in mente da quel dì l’imago.
Così d’Eupite il figlio; e non pertanto
Il nervo confidavasi piegarne,