Il trattaste voi ben di cibo, e letto
L’ospite? O forse non curato giacque?170
Anco la madre mia, benchè sì saggia,
Sfallisce in questo: chi è men degno, onora,
E non cura onorar chi più sel merta.
Ed Euricléa: Figliuol, non incolparmi
La innocente tua madre. A suo piacere175
Bevea l’ospite assiso; e quanto all’esca,
Domandato da lei, disse, mestieri
Non ne aver più. Come appressava l’ora
Del riposo, e del sonno, apparecchiargli
C’impose un letto: ma i tappeti molli180
Rifiutò, qual chi vive ai mali in grembo.
Corcossi nel vestibolo su fresca
Pelle di tauro, e cuoi d’agnelle: noi
D’una vellosa clamide il coprimmo.
Telemaco, ciò udito, uscia dell’alte185
Stanze, al foro per ir, con l’asta in mano;
E due seguianlo pieveloci cani.
Colà gli Achei dagli schinieri egregi
Raccolti l’attendean: mentre l’antica
D’Opi di Pisenòr figlia, le ancelle190
Stimolando, Affrettatevi, dicea,
Parte a nettar la sala, e ad inaffiarla,
E le purpuree su i ben fatti seggi