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libro decimonono 173

Seder, piagnendo, nella tua magione:
Chè i suoi confini ha il pianto, e ai luoghi vuolsi145
Mirare, e ai tempi. Se non tu, sdegnarsi
Ben potria contro a me delle serventi
Tue donne alcuna, e dire ancor, che quello,
Che fuor m’esce degli occhi, è il molto vino.
     E la saggia Penelope a rincontro:150
Ospite, a me virtù, sembianza, tutto
Rapito fu dagl’Immortali, quando
Co’ Greci ad Ilio navigava Ulisse.
S’ei, rientrando negli alberghi aviti,
A reggere il mio stato ancor togliesse,155
Ciò mia gloria sarebbe, e beltà mia.
Or le cure m’opprimono, che molte
Mandaro a me gli abitator d’Olimpo.
Quanti ha Dulichio, e Same, e la selvosa
Zacinto, e la serena Itaca Prenci,160
Mi ambiscon ripugnante; e sottosopra
Volgon così la reggia mia, che poco
Agli ospiti omai fommi, e ai supplicanti
Veder, nè troppo degli araldi io curo.
Io mi consumo, sospirando Ulisse.165
Quei m’affrettano intanto all’abborrito
Passo, ed io contra lor d’inganni m’armo.
Pria grande a oprar tela sottile, immensa,