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libro decimottavo 159

Me non istancheran: chè molto io sono
Da molto tempo a tollerare avvezzo.395
     Questi detti lor feo. Riser le ancelle,
E a vicenda guardavansi, e schernirlo
Con villane parole una Melanto,
Bella guancia, s’ardia. Dolio costei
Generò, ma Penelope nutrilla,400
Siccome figlia, nulla mai di quanto
Lusinga le fanciulle, a lei negando:
Nè s’afflisse per ciò con la Regina
Melanto mai, che anzi tradiala, e s’era
A Eurimaco d’amor turpe congiunta.405
Costei pungea villanamente Ulisse:
Ospite miserabile, tu sei
Un uomo, io credo, di cervello uscito,
Tu, che in vece d’andar nell’officina
D’un fabbro a coricarti o in vil taverna,410
Qui tra una schiera te ne stai di Prenci,
Lungo cianciando, e intrepido. Alla mente
Ti salì senza forse il molto vino,
O d’uom briaco hai tu la mente, e quindi
Senza construtto parli. O esulti tanto,415
Perchè il ramingo Iro vincesti? Bada,
Non alcun qui senza indugiare insorga,
Che, d’Iro assai miglior, te nella testa