Giove, e alla Diva Pallade, e ad Apollo,
Che tentennasse a cotestor già domi295
La testa, e si sfasciassero le membra,
Nel vestibolo agli uni, e agli altri in sala,
Come a quell’Iro, che alle porte or siede
Dell’atrio, il capo qua e là piegando,
D’un ebbro in guisa, e che su i piedi starsi300
Non può, nè a casa ricondursi: tanto
Le membra riportonne afflitte e peste.
Così la madre, e il figlio. Indi tai voci
Eurimaco a Penelope drizzava:
Figlia d’Icario, se te vista tutti305
Avesser per l’Iasio Argo gli Achivi,
Turba qui di rivali assai più folta
Banchetteria dallo spuntar dell’Alba:
Chè non v’ha donna, che per gran sembiante,
Per bellezza, e per senno, a te s’agguagli.310
E la nobile a lui d’Icario figlia:
Eurimaco, virtù, sembianza, tutto
Mi rapiro gli Dei, quando gli Argivi
Sciolser per Troja, e con gli Argivi Ulisse.
S’egli, riposto in sua magione il piede,315
A reggere il mio stato ancor prendesse,
Ciò mia gloria sarebbe, e beltà mia.
Ora io m’angoscio: tanti a me sul capo