Divinando, ma invan: fuggir non puote,
Legato anch’ei da Palla, onde cadesse195
Per l’asta di Telemaco. Nel seggio,
Donde sorto era, si ripose intanto.
Ma d’Icario alla figlia, alla prudente
Penelope, la Dea dai glauchi lumi
Spirò il disegno di mostrarsi ai Proci,200
Perchè lor s’allargasse il core in petto
Di nuova speme, ed in onor più grande
Presso il consorte, e il figlio ella salisse.
Diede, nè ben sa come, in un gran riso,
E tai detti formò: Sento un desire205
Non pria sentito di mostrarmi ai Proci,
Eurinome, bench’io tutti gli abborra.
Utile avviso in lor presenza io bramo
A Telemaco dare, il qual troppo usa
Con que’ superbi giovani, che accenti210
Ti drizzan blandi, e insídianti da tergo.
Saggio è il consiglio, Eurinome rispose.
Va, figlia, dunque, ed il tuo nato assenna.
Ma pria ti lava, e su le guance poni
L’usato unguento. Apparir vuoi con faccia215
Dalle lagrime tue solcata e guasta?
Quel pianger sempre, e dall’un giorno all’altro
Nullo divario far, poco s’addice.