Questi invitansi ognor, non un mendico,
Che ci consumi, e non diletti, o serva.470
Ma tu i ministri del mio Re lontano
Più, che ogni altro de’ Proci, e de’ ministri
Me più, che ogni altro, tormentar non cessi.
Non men curo io però, finchè la saggia
Penelope, e Telemaco deiforme,475
Vivono a me nella magion d’Ulisse.
Ma Telemaco a lui: Taci, parole
Non cangiar molte con Antinoo. È usanza
Di costui l’assalir con aspri detti
Chi non l’offende, e incitar gli altri ancora.480
Poi, converso a quel tristo, In ver, soggiunse,
Cura di me, qual padre, Antinoo, prendi,
Tu, che l’ospite vuoi sì duramente
Quinci sbandire. Ah nol consenta Giove!
Dagline: io, non che oppormi, anzi l’esigo.485
La madre d’annojare, o alcun de’ servi
Del padre mio, tu non temer per questo.
Ma cosa tal non è da te, cui solo
La propria gola soddisfar talenta.
O alto di favella, e d’alma indomo490
D’Eupite disse incontanente il figlio,
Che parlasti, Telemaco? Se i Proci
Quel don, ch’io serbo a lui, gli fesser tutti,