Tale ad Euméo, che per man prese, allora
Favellò il Laerziade: Euméo, d’Ulisse320
La bella casa ecco per certo. Fora,
Benchè tra molte, il ravvisarla lieve.
L’un pian su l’altro monta, è di muraglia
Cinto il cortile, e di steccati, doppie
Sono e salde le porte. Or chi espugnarla325
Potria? Gran prandio vi si tiene, io credo:
Poichè l’odor delle vivande sale,
E risuona la cetera, cui fida
Voller compagna de’ conviti i Numi.
E tu così gli rispondesti, Euméo:330
Facile a te, che lunge mai dal segno
Non vai, fu il riconoscerla. Su via,
Ciò pensiam, che dee farsi. O tu primiero
Entra, e ai Proci ti mesci, ed io qui resto,
O tu rimani, e metterommi io dentro.335
Ma troppo a bada non istar: chè forse,
Te veggendo di fuor, potrebbe alcuno
Percuoterti, o scacciarti. Il tutto pesa.
Quel veggio anch’io, che alla tua mente splende,
Gli replicava il pazïente Ulisse.340
Dentro mettiti adunque: io rimarrommi.
Nuovo ai colpi non sono, e alle ferite,
E la costanza m’insegnaro i molti