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libro decimosettimo 123

Con cui vieni oltraggioso, e sì frequente,
Dai campi alla città. Quindi per colpa295
De’ cattivi pastori a mal va il gregge.
     Oh oh, Melanzio ripigliò di botto,
Che mi latra oggi quello scaltro cane,
Che un giorno io spedirò sovra una bruna
Nave dalla serena Itaca lunge,300
Perchè a me in copia vettovaglia trovi?
Così il Dio dal sonante arco d’argento
Telemaco uccidesse oggi, o dai Proci
Domo fosse il garzon, come ad Ulisse
Non sorgerà della tornata il giorno!305
     Ciò detto, ivi lasciolli ambo, che lento
Moveano il piede, e, suo cammin seguendo,
D’Ulisse alla magion ratto pervenne.
Subito entrava, e s’assidea tra i Proci
Di rimpetto ad Eurimaco, che tutto310
Era il suo amore: nè i donzelli accorti,
E la solerte dispensiera, innanzi
Un solo istante s’indugiaro a porgli
Quei parte delle carni, e i pani questa.
     Ulisse, ed il pastore al regio albergo315
Giungeano intanto. S’arrestaro, udita
L’armonia dolce della cava cetra:
Chè l’usata canzon Femio intonava.