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libro decimosesto 105

Giunta, e adombrando co’ sottili veli,
Che le pendean dal capo, ambe le guance,445
Antinoo rampognava in questi accenti:
Antinoo, alma oltraggiosa, e di sciagure
Macchinator, nella città v’ha dunque
Chi tra gli eguali tuoi primo vantarti
Per saggezza osi, e per facondia? Tale450
Giammai non fosti. Insano! e al par, che insano,
Empio, che di Telemaco alla vita
Miri, e non curi i supplici, per cui
Giove dall’alto si dichiara. Ignoto
Forse ti fu sin qui, che fuggitivo455
Qua riparava, e sbigottito un giorno
Il padre tuo, che de’ Tesproti a danno
Co’ Tafj predator s’era congiunto?
Nostri amici eran quelli, e porlo a morte
Voleano, il cor volean trargli del petto,460
Non che i suoi campi disertar: ma Ulisse
Si levò, si frammise; e, benchè ardenti,
Li ritenea. Tu di quest’uom la casa
Ruini, e disonori; la consorte
Ne ambisci, uccidi il figlio, e me nel fondo465
Sommergi delle cure. Ah! cessa, e agli altri
Cessare ancor, quanto è da te, comanda.
     Figlia illustre d’Icario, a lei rispose