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La nave in porto, l’ancore gittaro,
Ed i canapi avvinsero. Ciò fatto,620
Sul lido usciano, ed allestian la cena.
Rintuzzata la fame, e spenta in loro
La sete, Voi, così d’Ulisse il figlio,
Alla città guidatemi la nave,
Mentre a’ miei campi, ed ai pastori io movo.625
Del cielo all’imbrunir, visti i lavori,
Io pure inurberommi, e in premio a voi
Lauto domane imbandirò convito.
     Ed io dove ne andrò, figlio diletto?
Teocliméno disse. A chi tra quelli,630
Che nella discoscesa Itaca sono
Più potenti, offrirommi? Alla tua madre
Dritto ir dovronne, e alla magion tua bella?
     Il prudente Telemaco riprese:
Io stesso in miglior tempo al mio palagio635
T’invierei, dove cortese ospizio
Tu non avresti a desiare. Or male
Capiteresti: io non sarei con teco,
Nè te vedria Penelope, che scevra
Dai Proci, a cui raro si mostra, tele640
Nelle più alte stanze a oprare intende.
Un uom bensì t’additerò, cui franco
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