Riceverai, dove che andar t’aggradi.
Euméo, rispose il pazïente Ulisse,420
possa Giove amar te, siccome io t’amo,
Te, che al vagar mio lungo, ed all’inopia
Ponesti fine! Io non so peggio vita:
Ma il famelico stomaco latrante
Gl’inopi a errar, per acchetarlo, sforza,425
E que’ mali a soffrir, che ad una vita
Povera s’accompagnano, e raminga.
Or, quando vuoi, ch’io teco resti, e aspetti
Telemaco, su via, della canuta
Madre d’Ulisse parlami e del padre,430
Che al tempo, che il figliuol sciolse per Troja,
Della vecchiezza il limitar toccava.
Veggon del Sole in qualche parte i rai?
O d’Aide la magion freddi gli accolse?
Ospite, ripigliò l’inclito Euméo,435
Altro da me tu non udrai, che il vero.
Laerte vive ancora, e Giove prega,
Che la stanca dal corpo alma gli tragga:
Tanto del figlio per l’assenza, tanto
Per la morte si duol della prudente440
Moglie, che intatta disposollo, e in trista
Morendo il collocò vecchiezza cruda.
La lontananza del suo figlio illustre