Regnan gli Epei. Quinci il figliuol d’Ulisse
Tra le scoscese Echinadi si mise,370
Pur rivolgendo nel suo cor, se i lacci
Schiverebbe de’ Proci, o vi cadrebbe.
Ma in altra parte Ulisse, e il buon custode
Sedean sott’esso il padiglione a cena,
E non lunge sedean gli altri pastori.375
Pago de’ cibi il natural talento,
Ulisse favellò, tentando Euméo,
S’ei, non cessando dalle cure amiche,
Ritenerlo appo sè nella sua cara
Stalla intendesse, o alla città mandarlo.380
Euméo, disse, m’ascolta; e voi pur tutti.
Tosto che il ciel s’inalbi, alla cittade,
Ond’io te non consumi, ed i compagni,
Condurmi io voglio a mendicar la vita.
Ma tu d’utili avvisi, e d’una scorta385
Fidata mi provvedi. Andrò vagando
Di porta in porta, e ricercando, come
Sforzami rea necessità, chi un pane
Mi porga, ed una ciottola. D’Ulisse
Mi farò ai tetti, e alla sua donna saggia390
Novelle recheronne, e avvolgerommi
Tra i Proci alteri, che lasciarmi forse
Nella lor copia non vorran digiuno.