Che manti avevano, e tuniche, tranquilli
Dormian, poggiando alle lor targhe il dosso.570
Ma io, partendo dai compagni, il manto
Nella stoltezza mia lasciai tra loro,
Non isperando un sì pungente verno;
E una tunica, un cingolo, e uno scudo
Meco sol tolsi. Della notte il terzo575
Era, e gli astri cadevano, e ad Ulisse,
Che mi giacea da presso, io tai parole,
Frugandolo del gomito, rivolsi:
Illustre, e scaltro di Laerte figlio,
Così mi doma il gel, ch’io più tra i vivi580
Non rimarrò. Mi falla un manto. Un Dio,
Che mi deluse, di vestirmi solo
La tunica inspirommi. Or quale scampo?
Ei, le parole udite, un suo partito
Scelse di botto, come quei, che meno585
Ai consigli non fu, che all’armi, pronto.
Taci, rispose con sommessa voce:
Che alcun Greco non t’oda. E poi, del braccio
Facendo, e della man sostegno al mento,
Amici, disse, un sogno, un divin sogno,590
Dormendo m’avvertì, che dilungati
Troppo ci siam dalle veloci navi.
Quindi al pastor di genti Agamennóne