Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/366


libro duodecimo 351

O calerò nella magion di Pluto,
E al popol morto porterò mia luce.495
     E il nimbifero Giove a lui rispose:
Tra gl’Immortali, o Sole, ed i mortali
Vibra su l’alma terra, e in cielo, i raggi.
Io senza indugio d’un sol tocco lieve
Del fulmine affocato il lor naviglio500
Sfracellerò del negro mar nel seno.
     Queste cose Calipso un giorno udia
Dal messaggier Mercurio, e a me narrolle
La ricciuta il bel crin Ninfa Calipso.
     Giunto alla nave, io rampognava or questo505
De’ compagni, ed or quel: ma vïolato
L’armento fu, nè avea compenso il male.
Strani prodigi intanto agl’infelici
Mostravano gl’Iddj: le fresche pelli
Strisciavan sul terren, muggian le incotte510
Carni, e le crude, agli schidoni intorno,
E de’ buoi lor sembrava udir la voce.
Pur del fior dell’armento ancor sei giorni
Si cibaro i colpevoli. Comparsa
La settim’Alba, il turbinoso vento515
Stancossi; e noi ci rimbarcammo, e, alzato
L’albero prontamente, e dispiegate
Le bianche vele, ci mettemmo in mare.