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libro duodecimo 345

Ove il gregge del Sol pasce, e l’armento;
E ne giungean dall’ampie stalle a noi345
I belati su l’aure, ed i muggiti.
Gli avvisi allor mi si svegliaro in mente
Del Teban vate, e della maga Circe,
Ch’io l’isola schivar del Sol dovessi,
Di cui rallegra ogni vivente il raggio.350
Ond’io, Compagni, lor dicea, per quanto
Siate angosciati, la sentenza udite
Del Teban vate, e della maga Circe,
Ch’io l’isola schivar debba del Sole,
Di cui rallegra ogni vivente il raggio.355
Circe affermava, che il maggior de’ guai
Quivi c’incoglieria. Lasciarla indietro
Ci convien dunque con la negra nave.
     Colpo tai detti fu quasi mortale.
Nè a molestarmi Euriloco in tal guisa360
Tardava: Ulisse, un barbaro io ti chiamo.
Perchè di forze abbondi, e mai non cedi,
Nè fibra è in te, che non sia ferro, a’ tuoi
Contendi il toccar terra, e di non parca
Cena sul lido ristorarsi. Esigi,365
Che in mezzo le notturne ombre su questo
Pelago a caso erriam, benchè la notte
Gravi produca disastrosi venti.