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libro duodecimo 335

Degli uomini pensiero, e degli Dei,
Trapassar valse, navigando a Colco:95
E se non che Giunon, cui molto a cuore
Giasone stava, di sua man la spinse,
Quella non meno avrian contra le vaste
Rupi cacciata i tempestosi flutti.
     Dall’altra parte havvi due scogli: l’uno100
Va sino agli astri, e fosca nube il cinge
Nè su l’acuto vertice, l’estate
Corra, o l’autunno, un puro ciel mai ride.
Montarvi non potrebbe altri, o calarne,
Venti mani movesse, e venti piedi:105
Sì liscio è il sasso, e la costa superba.
Nel mezzo volta all’Occidente, e all’Orco
S’apre oscura caverna, a cui davanti
Dovrai ratto passar: giovane arciero,
Che dalla nave disfrenasse il dardo,110
Non toccherebbe l’incavato speco.
Scilla ivi alberga, che moleste grida
Di mandar non ristà. La costei voce
Altro non par, che un guajolar perenne
Di lattante cagnuol: ma Scilla è atroce115
Mostro, e sino ad un Dio, che a lei si fesse,
Non mirerebbe in lei senza ribrezzo.
Dodici ha piedi, anterïori tutti,