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libro undecimo 319

Di corpo superava, e di sembiante.
Mi riconobbe del veloce al corso595
Eacide l’imago; e, lamentando:
O, disse, di Laerte inclita prole,
Qual nuova in mente, sciagurato, volgi
Macchina, che ad ogni altra il pregio scemi?
Come osasti calar ne’ foschi regni,600
Degli estinti magion, che altro non sono,
Che aeree forme, e simulacri ignudi?
     Di Peleo, io rispondea, figlio, da cui
Tanto spazio rimase ogni altro Greco,
Tiresia io scesi a interrogar, che l’arte605
Di prender m’insegnasse Itaca alpestre.
Sempre involto ne’ guai, l’Acaica terra
Non vidi ancor, nè il patrio lido attinsi.
Ma di te, forte Achille, uom più beato
Non fu, nè giammai fia. Vivo d’un Nume610
T’onoravamo al pari, ed or tu regni
Sovra i defunti. Puoi tristarti morto?
     Non consolarmi della morte, a Ulisse
Replicava il Pelíde. Io pria torrei
Servir bifolco per mercede a cui615
Scarso, e vil cibo difendesse i giorni,
Che del Mondo defunto aver l’impero.
Su via, ciò lascia, e del mio figlio illustre