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libro decimo 273

Ci seppellimmo al mormorio dell’onde.
     Ma sorta del mattin la rosea figlia,245
Tutti io raccolsi a parlamento, e dissi:
Compagni, ad onta di guai tanti, udite.
Qui, d’onde l’Austro spira, o l’Aquilone,
E in qual parte il Sole alza, in qual dechina,
Noto non è. Pur consultare or vuolsi,250
Qual consiglio da noi prender si debba,
Se v’ha un consiglio: di che forte io temo.
Io d’in su alpestre poggio isola vidi
Cinta da molto mar, che bassa giace,
E nel cui mezzo un nereggiante fumo255
D’infra un bosco di querce al ciel si volve.
     Rompere a questo si sentiro il core,
D’Antifate membrando, e del Ciclope
La ferocia, i misfatti, e le nefande
Della carne dell’uom mense imbandite.260
Strida metteano, e discioglieansi in pianto.
Ma del pianto che pro? che delle strida?
Tutti in due schiere uguali io li divisi,
E diedi ad ambo un Duce: all’una il saggio
Euriloco, e me all’altra. Indi nel cavo265
Rame dell’elmo agitavam le sorti,
Ed Euriloco uscì, che in via si pose
Senza dimora. Ventidue compagni,