Se ad Ulisse Penelope, riprese
Pallade allor dalle cilestre luci,
Ti generò, vollero i Dei, che gisse295
Chiaro il tuo nome ai secoli più tardi.
Garzon, dal ver non ti partir: che festa,
Che turba è qui? Qual ti sovrasta cura?
Convito? Nozze? Genïal non parmi
A carco di ciascun mensa imbandita.300
Parmi banchetto sì oltraggioso e turpe,
Che mirarlo, e non irne in foco d’ira,
Mal può chiunque un’alma in petto chiuda.
Ed il giovane a lui: Quando tu brami
Saper cotanto delle mie vicende,305
Abbi, che al Mondo non fu mai di questa
Nè ricca più, nè più innocente casa,
Finchè quell’uomo il piè dentro vi tenne.
Ma piacque altro agli Dei, che, divisando
Sinistri eventi, per le vie più oscure,310
Quel, che mi cuoce più, sparir mel fero.
Piangerei, sì, ma di dolcezza vôto
Non fora il lagrimar, s’ei presso a Troja
Cadea pugnando, o vincitor chiudea
Tra i suoi più cari in Itaca le ciglia.315
Alzato avriangli un monumento i Greci,
Che di gloria immortale al figlio ancora